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Gli zero party data possono essere definiti come i dati che i clienti intenzionalmente condividono con un brand.
L’importanza dei dati per le attività di marketing è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi anni. La tecnologia ha messo a disposizione a costi accessibili strumenti in grado di elaborare quantità enormi di informazioni. Il termine “big data” è entrato nel vocabolario quotidiano dei marketer, qualche volta anche a sproposito.
Il problema fondamentale però rimane l’acquisizione dei dati e la loro qualità. La maggior parte delle aziende si sono rivolte finora prevalentemente al mercato dei dati di terza parte. Si tratta di enormi database acquisiti dai grandi operatori e dalle piattaforme tecnologiche, che vengono messi a disposizione delle aziende per fare advertising.
Ricorrere a third party data è ovviamente molto semplice. Si delega a un ente esterno l’acquisizione dei dati, che è costosa e impegnativa, e si paga a consumo per il loro utilizzo. Ma questo processo ha evidentemente dei grossi limiti: Innanzitutto non si controllano in alcun modo i dati, che sono di proprietà di terzi. Anche il costo per accedere ai dati è controllato dal mercato e a causa della crescente competizione e della concentrazione del settore, i prezzi sono costantemente in crescita.
Ma c’è un limite ancora più importante: le crescenti restrizioni sulla privacy e le politiche di blocco dei cookies annunciate da Google e già applicate da Apple e Firefox stanno rendendo sempre più difficile la condivisione commerciale dei dati. In qualche modo le aziende oggi sono obbligate ad investire in prima persona per acquisire e gestire dati di prima parte o addirittura zero party data.
Qual è la differenza tra first party e zero party data?
I first party data, o dati di prima parte, sono quelli che raccolti attraverso sul sito web o sull’app proprietaria di un brand. Di solito vengono raccolti attraverso appositi strumenti di tracciamento e di gestione: una customer data platform e una DMP (Data management platform). Possono essere dati di comportamento di navigazione (quali pagine vengono visitate, in quale sequenza, per quanto tempo, con quali parti della pagina il cliente interagisce) o di acquisto.
Sono informazioni che il brand può acquisire in modo automatico, anche se naturalmente Il cliente deve essere sempre informato di come i suoi dati verranno tracciati e deve accettare la cookie policy nel momento in cui accede al sito. In pratica il cliente accetta che entrando nel sito il suo percorso e il suo comportamento venga registrato e possa essere utilizzato con finalità di marketing.
Gli zero party data invece sono informazioni fornite in modo attivo e consapevole da parte del cliente, ad esempio compilando un form nel quale inserisce i propri dati o le proprie preferenze, o rispondendo a un questionario o a un sondaggio.
E’ una differenza fondamentale in termini di qualità del dato raccolto: first party data sono comunque informazioni indirette. Per quanto il cliente sia (almeno tecnicamente) consapevole che verranno acquisite e utilizzate, non sta attivamente comunicando informazioni personali. Invece nel caso degli zero party data compie un’azione diretta per fornire dati che lo riguardano.
Quando si entra in un punto vendita si accetta che un sistema di videosorveglianza segua i nostri movimenti. Si accetta quindi l’eventualità che qualcuno tracci il nostro percorso e lo utilizzi per analizzare il comportamento davanti agli scaffali. Oppure che il nostro scontrino venga registrato in un database per studiare la composizione del nostro carrello. Questo tipo di informazioni, paragonabili a quelle ai registrate da un sito che visitiamo, sono definibili come first party data.
Diverso è se, per esempio, si decide di iscriversi al programma fedeltà del punto vendita, compilando un form di sottoscrizione, o si fornisce la propria email alla cassa per ricevere le offerte e la newsletter. In questo caso si sta facendo un salto di qualità nella relazione con il brand. In questo caso si parla di zero party data.
Il GDPR è uno stimolo per una migliore relazione tra brand e clienti
Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati, meglio noto come GDPR, è la normativa europea per la tutela dei dati personali entrata in vigore nel 2016. Lo scopo del provvedimento era di adeguare le normative precedenti, non più in linea con le nuove tecnologie di tracciamento. La norma recepiva una crescente richiesta di tutela da parte dei consumatori, che sentivano come le loro informazioni personali venissero usate dalle aziende in modo indiscriminato.
Il principio base del GDPR è la consapevolezza che il consumatore deve sempre avere rispetto a quali dati che lo riguardano vengano registrati e conservati e per quale finalità.
Molti hanno visto l’introduzione di questa nuova norma come un limite. In realtà la dovremmo considerare un passo avanti nella costruzione di un rapporto sano tra clienti e brand. Le aziende più avvedute lo hanno colto come uno stimolo per investire più sulla fiducia dei clienti che sulla propria abilità tecnica di carpire le loro informazioni.
Gli zero party data sono la realizzazione dei migliori intenti del GDPR: mettono il cliente al centro, dandogli il totale controllo di ciò che vuole condividere. Ma un cliente che sceglie in autonomia di comunicare informazioni che lo riguardano, ha un valore enormemente più elevato di un cliente “spiato”, anche se con il suo consenso.
La trasparenza deve essere l’atteggiamento che guida le aziende nel gestire questo tipo di dati. La personalizzazione delle offerte e dei messaggi facendo leva sui dati attivamente e consapevolmente condivisi è quello che i consumatori si aspettano dalle aziende.
Condividere il valore
Acquisire zero party data è molto più difficile rispetto ai classici sistemi di tracciamento: si tratta di uno scambio che può funzionare solo se l’azienda è disposta a dare valore al cliente in cambio dei suoi dati. Il meccanismo più immediato consiste nel fornire un valore economico come sconti esclusivi o offerte speciali. Ma per costruire relazione e fiducia nel tempo il modo più efficace consiste nel condividere contenuti realmente utili e interessanti, informativi o di intrattenimento. I contenuti, se ben strutturati e di reale valore permettono di sviluppare un vero legame tra azienda e clienti. L’obiettivo dei contenuti deve essere quello di spingere i clienti ad approfondire e ad interagire con il brand.
Come ottenere zero party data
Newsletter
Se i contenuti che si producono hanno un reale valore e arricchiscono l’esperienza dei clienti, questi saranno propensi a lasciare i loro dati di contatto per ricevere costantemente aggiornamenti e novità. E’ possibile richiedere ai clienti anche le loro preferenze sugli argomenti o le tipologie di contenuto che preferiscono, o sul tipo di prodotti e servizi a cui sono interessati.
Contenuti premium
Si potranno proporre dei contenuti free, visibili a tutti gli utenti e una sezione di contenuti premium che potranno essere fruiti solo in seguito a una registrazione. Un meccanismo di questo tipo può funzionare molto bene nel caso di contenuti b2b e quando si forniscono informazioni di tipo professionale.
Formazione e tutorial
Nel caso di contenuti formativi, di corsi, webinar o tutorial, la disponibilità a fornire dati personali è molto elevata. Gli utenti sono particolarmente motivati ad accedere a contenuti che possono dare loro soluzioni ai loro bisogni.
Giochi e sondaggi
Se stimolati su temi che li interessano, sia quando si tratta di esprimere un voto o un’opinione, sia quando si tratta di partecipare a un gioco o un contest, gli utenti sono disponibili a dare molte informazioni sulle loro preferenze.
Promozioni e concorsi
Naturalmente gli sconti, le promozioni o i concorsi possono essere un ottimo motore per spingere i clienti a comunicare i loro dati. Se la motivazione è puramente economica però, il livello di engagement tende ad essere più basso.