Meta e la minaccia di lasciare l’Europa: tutta la storia

Il titolo crolla in borsa, gli utenti calano per la prima volta in 18 anni, il metaverso è ancora un'incognita e la privacy in Europa rappresenta un problema. Nuvole nere sul cielo di Meta

di Marco Decio
6 mins read
Facebook lascerà l'Europa?

Un inizio d’anno pieno di guai per Meta

I primi giorni di febbraio sono stati decisamente turbolenti per Meta (o se preferite per Facebook). Prima c’è stato il calo in borsa nell’aftermarket del 2 di febbraio (diventato un tracollo all’apertura del mercato il 3 mattina). In un solo giorno il titolo di Meta ha perso oltre 200 miliardi di capitalizzazione, oltre il 25% del suo valore. Nessun titolo aveva mai perso così tanto valore in una singola seduta nella storia del Nasdaq.

Subito dopo si sono scatenati rumors sulla possibile intenzione di Meta di abbandonare il mercato europeo.  Si è parlato di una “velata minaccia” da parte di Meta. In realtà l’azienda ha messo per iscritto questa intenzione proprio nei report trimestrali sull’andamento economico. Gli stessi report che, a causa dei risultati sotto le attese, avevano dato il via alle vendite sul titolo.

 

Tracollo di Meta al Nasdaq 3 febbraio 2022

 

Quali sono i problemi di Meta con la legislazione europea

Il punto chiave del disaccordo è rappresentato da una specifica sezione del GDPR (General Data Protection Regulation).  Si tratta del Capo V del Regolamento, quello che disciplina il trasferimento dei dati al di fuori dell’Unione Europea. Come si sa lo scopo del GDPR è di tutelare la privacy dei cittadini dell’Unione. Per questo aziende ed enti che operano all’interno del territorio europeo devono adeguarsi a una serie di procedure di garanzia. Ovviamente il regolamento non può avere efficacia sulle aziende che operino fuori dai confini dell’Unione. Per questa ragione il GDPR vieta in principio che i dati dei cittadini europei, raccolti all’interno dell’Unione, vengano trasferiti all’estero.

Per poter procedere al trasferimento dei dati è necessario che la Commissione dia un parere favorevole sullo stato estero e/o sull’organizzazione estera, dopo aver valutato che tale stato o organizzazione è in grado di garantire gli stessi livelli di sicurezza e di tutela previsti dal GDPR.

GDPR Art 45.1: “Il trasferimento di dati personali verso un paese terzo o un’organizzazione internazionale è ammesso se la Commissione ha deciso che il paese terzo, un territorio o uno o più settori specifici all’interno del paese terzo, o l’organizzazione internazionale in questione garantiscono un livello di protezione adeguato”

E’ ovvio che, per il business di Meta, trasferire i dati dei cittadini europei sui suoi server (negli Stati Uniti o in altri paesi extracomunitari) ed elaborarli per le finalità di marketing e pubblicità è una necessità imprescindibile.

Il Privacy Shield e la sua illegittimità

Nel 2016 la Commissione Europea ha sottoscritto un accordo con gli Stati Uniti d’America, denominato Privacy Shield, che garantiva la legittimità dei trasferimenti di dati presso aziende con sede negli USA, in deroga al GDPR. In forza di questo accordo i big di internet erano in grado di gestire con una certa libertà i dati dei cittadini europei.

Il 16 luglio 2020 però, con la cosiddetta “sentenza Schrems II”, la Corte di Giustizia dell’UE ha dichiarato illegittimo il Privacy Shield rendendo di fatto impossibile procedere con i trasferimenti di dati.

La situazione è decisamente incerta: c’è un evidente disaccordo all’interno delle istituzioni europee sull’applicazione del GDPR. Da una parte la Commissione, che ha sempre cercato un compromesso per garantire i rapporti commerciali con gli USA. Dall’altro la Corte di Giustizia che ha ritenuto di applicare i regolamenti sulla privacy in modo più rigido.

La posizione di Meta

Questa situazione di incertezza è ovviamente un enorme problema per aziende come Facebook. Ciò che ha scoperchiato il vaso di Pandora è stata la dichiarazione ufficiale, messa nero su bianco da Meta nel report trimestrale:

“la continua incertezza nel meccanismo di trasferimento dei dati tra UE e USA mette rischio la possibilità di Meta di continuare a fornire i propri servizi ai cittadini europei”.

Perché Meta ha deciso di mettere la questione sul tavolo in questo modo? Qualcuno l’ha vista come una chiara minaccia. Altri come un bluff per vedere che tipo di reazione avrebbe generato. Nel secondo caso a Menlo Park non devono essere stati particolarmente felici di assistere alle reazioni da parte delle istituzioni nazionali europee.

Il ministro dell’economia della Germania, Robert Habeck, ha detto di essere stato senza Facebook per anni e di essere stato benissimo. Ha aggiunto poi che l’UE ha un mercato interno molto grande e ha sufficiente potere economico per non essere per nulla intimidito da una minaccia del genere.

Il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire è stato ancora più categorico:

“posso confermare che viviamo benissimo senza Facebook e che potremmo farne benissimo a meno”

Con un post sul blog ufficiale di Meta, Markus Reinish, Vice President Public Policy Europe, ha voluto chiarire che Meta non sta assolutamente minacciando di lasciare l’Europa. Il post dice che era un dovere verso gli investitori rendere esplicito il problema nel report trimestrale.  Si trattava di essere trasparenti su un oggettivo rischio di business rappresentato dall’incertezza della legislazione europea. Nei fatti il post di Reinish non fa altro che confermare la “minaccia” di Meta di lasciare l’Europa. Ma è davvero credibile?

Perché Meta non potrebbe mai lasciare l’Europa

Il mercato europeo è troppo importante per Meta. Facebook ha già un enorme problema di utenti in calo e risultati economici che non crescono più come atteso. Un eventuale chiusura del mercato europeo metterebbe a rischio la continuità dell’azienda.

Meta non è Google: il suo business è meno necessario alla struttura del mercato digitale europeo, ed è decisamente fungibile. L’eventuale chiusura di Facebook e Instagram non sarebbero certo indolori: ma le alternative non mancano. I social di Meta rischiano anzi di essere in futuro raggiunti e superati da competitor aggressivi. Basti pensare all’assenza dei giovani da Facebook e dal progressivo esodo dei giovanissimi verso alternative ad Instagram quali Tik Tok. Se FB e Instagram sparissero, si farebbero immediatamente avanti altri pronti ad occupare lo spazio.

Per loro fortuna Zuckerberg e compagni non saranno soli in questa battaglia con l’Europa: avranno un formidabile alleato a Mountain View, con un potere contrattuale decisamente più elevato.

I problemi di Meta non finiscono qui: gli utenti calano e il metaverso non convince ancora

La questione dei dati europei è sicuramente una questione critica. Ma i problemi che Meta si trova davanti in questo momento sono davvero molti. Molti pensavano che il calo in borsa del 3 marzo fosse una delle solite reazioni isteriche del mercato, e che sarebbe rientrato in pochi giorni. Al momento però sembra proprio che la capitalizzazione di Meta si sia stabilizzata a un valore di circa il 30% inferiore a poche settimane fa.

Sicuramente i risultati economici dichiarati nell’ultimo quarter del 2021 non sono stati digeriti bene dal mercato: ricavi e utili non sono cresciuti come ci si aspettava,  ma questo è solo un problema relativo. Quello che sembra aver davvero spaventato i mercati è il calo degli utenti: per la prima volta nella sua storia Facebook ha registrato una riduzione di un milione di utenti nell’accesso giornaliero. Si tratta di una variazione davvero minima (gli utenti di Facebook attivi giornalmente sono quasi due miliardi). Ma è la prima volta in 18 anni di storia che questo succede.

Zuckerberg sembra aver scommesso tutte le carte del futuro sul metaverso, ma i dubbi sul reale potenziale di business delle nuove piattaforme di realtà virtuale sono molti, e di sicuro gli investitori non sono ancora del tutto convinti che sia una strada vincente. Staremo a vedere nei prossimi mesi se a Menlo Park hanno puntato su un ronzino o su un cavallo vincente.

Condividi questo articolo

Related Posts