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Postare una foto, girare un reel, catturare un attimo di vita quotidiana in una storia: viviamo in un mondo in cui la (ri)condivisione di contenuti multimediali è diventata parte integrante della nostra quotidianità, per alcuni addirittura un lavoro a tempo pieno. Parallelamente – e di conseguenza – è cresciuto anche il numero di freeboter, veri e propri “pirati digitali” che navigano il web alla ricerca di contenuti da scaricare, “ripulire” e ripubblicare sulle proprie pagine. Contenuti che, spesso, diventano virali, privando il creatore originale della possibilità di godere dei benefici -sia economici che in termini di reputazione e visibilità- che la viralità comporta.
E sebbene questo fenomeno colpisca sopratutto i proprietari di canali YouTube, purtroppo nessuno può dirsi realmente al sicuro. Questo perché i freeboter sono veri e propri “professionisti del settore” ed hanno con il tempo perfezionato strategie sempre più sofisticate per portare a termine le proprie malefatte senza farsi scoprire. Fortunatamente, però, possiamo giocare d’anticipo e mettere in atto alcune strategie che ci aiuteranno a difenderci dal freebooting. Scopriamole insieme quali sono quelle più efficaci. Ma prima, qual è il significato del termine freebooter e in cosa consiste la pratica del freebooting?
Freebooter: cosa significa e da dove ha origine questo termine?
Il freebooting, definito dall’Urban Dictionary come “l’atto di pubblicare contenuti online di altre persone su un proprio spazio web, senza il permesso del creatore del contenuto e a vantaggio del proprio tornaconto personale” è ormai una pratica tanto illegale quanto diffusa all’interno dello spazio digitale. Nonostante questo, il termine rimane ancora sconosciuto ai più, soprattutto in Italia, dove ancora pochi blog hanno dedicato uno spazio sufficiente alla trattazione di questa tematica.
Ecco perché abbiamo deciso di fare un po’ di chiarezza a riguardo, partendo proprio dal significato del termine freebooter. Coniato alla fine dell’Ottocento per descrivere il fenomeno della pirateria nei mari del Nord Europa, questo termine -traducibile in italiano con “corsaro” o “predone”- è oggi utilizzato proprio per indicare quei “ladri” digitali che scandagliano l’Internet alla ricerca di contenuti multimediali (in prevalenza video, ma anche immagini e musica) da ripostare sulle proprie pagine, spesso con lo scopo di raggiungere la tanto agognata viralità. Tutto questo, ovviamente, senza il permesso del creatore originale del contenuto, che si vede privato non solo dei diritti di proprietà esclusivi sul proprio lavoro, ma anche di tutti i privilegi – sia in termini monetari che di engagement – legati alla ricondivisione su larga scala dello stesso.
Nonostante il freebooting non sia certamente un fenomeno nuovo, negli ultimi anni questa forma di “pirateria digitale” ha assunto dimensioni sempre più allarmanti. D’altro canto, non c’è da stupirsi di questo, soprattutto alla luce del crescente numero di content creator – e di sedicenti tali – che ogni giorno si impegnano nella produzione e distribuzione di contenuti multimediali sui social.
Perché il punto è proprio questo: il freebooter è alla ricerca continua di nuovi contenuti che hanno il potenziale di diventare virali e spesso colpisce indiscriminatamente creatori di contenuti più o meno seguiti, tanto che la prossima vittima potremmo essere proprio noi. Ma come agisce nella pratica il freebooter e quali sono le sue “prede” preferite?
Freebooting, ovvero l’arte di “saccheggiare” i contenuti digitali: in che cosa consiste e chi colpisce?
Come abbiamo visto, freebooting è il termine usato per descrivere la pratica di scaricare contenuti multimediali protetti da copyright e riutilizzarli poi senza autorizzazione. Ma come avviene, in termini pratici, questa forma di “saccheggio” digitale? Per prima cosa, il freebooter individua le proprie “prede”, in passato soprattutto video creati da YouTuber molto conosciuti che venivano ripubblicati su diverse pagine Facebook (non a caso, l’uso moderno del termine freeboter si deve proprio allo YouTuber australiano Brady Harand, che ha rispolverato questa metafora nautica di inizio secolo proprio per indicare il furto dei suoi video da parte di persone che li ripostavano sui propri canali), oggi anche video brevi pubblicati su Instagram (reels), YouTube (shorts) e TikTok.
Una volta individuati e scaricati i contenuti da “freebootare”, il ladro informatico procede con il ripubblicarli nativamente, ovvero senza alcun riferimento all’autore o alla pagina originaria, sui propri canali, che il più delle volte sono in grado di crescere proprio grazie a questa pratica. In questo modo, gli utenti potranno difficilmente risalire alla fonte originaria del contenuto ed il freebooter riuscirà a lucrare indisturbato sulla creatività e professionalità delle proprie vittime che, in molti casi, si accorgeranno troppo tardi di questa malefatta.
Infatti, una delle grandi insidie del freeboting è proprio il fatto che, anche se l’autore originale riesce a denunciare il “furto”, il procedimento per far rimuovere il contenuto incriminato dalle pagine del freebooter – e ancor più quello per denunciarlo per violazione dei diritti d’autore – è solitamente molto lungo, complicato e spesso avviene quando questo ha già generato sufficiente guadagno, anche e soprattutto in termini di follower, per il freeboter.
A questo punto, il video sarà comunque inutilizzabile anche da parte dell’autore originario in quanto, come probabilmente sapremo, gli algoritmi dei social spesso penalizzano i video ripostati. Questa perdita si va ovviamente a sommare a quella che il content creator ha già subito in termini di risorse materiali -e tempo- impiegati nella ideazione e realizzazione del contenuto. Insomma, la beffa è duplice!
Nonostante prendere consapevolezza di questo insidioso fenomeno rappresenti un primo ed importante passo verso la tutela dei nostri diritti digitali, esistono comunque anche delle altre strategie per giocare d’anticipo e difenderci dai predoni del web. Vediamo le 5 più efficaci.
Difendersi dai freebooter? Possibile, con queste 5 strategie
Nonostante i freebooter siano una bella scocciatura, difendersi dai loro furti è possibile. Qui proponiamo 5 strategie – 3 preventive e 2 consuntive – per allontanare il rischio di freebooting e, nel caso fossimo già stati colpiti, limitare al minimo le perdite (o, se non altro, limitare i guadagni del freebooter).
Vediamole insieme.
- Apporre un watermark sui nostri contenuti (utile nel caso di video ed immagini): il primo modo per difendersi dal freeboting è quello di “firmare” digitalmente il nostro contenuto attraverso l’apposizione di un “watermark”, ovvero un logo o un testo che agisce come una sorta di filigrana elettronica a protezione del diritto d’autore sui nostri contenuti. Per farlo, possiamo avvalerci sia di programmi di fotoritocco e fotomontaggio professionali, quali Photoshop e iMovie, ma anche di tool e app più intuitivi, quali Canva e Visual Wateramark. Tuttavia, facciamo sempre attenzione al loro posizionamento, in quanto i freebooter sono abili nel ritagliare foto e video ed eliminare così la nostra firma digitale.
- Utilizzare il watermark di You Tube (utile nel caso di video e shorts): fortunatamente, You Tube – che, come abbiamo visto è una delle piattaforme più colpite dai freebooter – negli anni si è equipaggiata sempre più per combattere questo fenomeno, fornendo ai creator la possibilità di apporre un piccolo watermark durante il montaggio del video (si parla di un’immagine di almeno 150 mm x 150 mm e peso massimo pari a 1 MB), che servirà appunto per garantire il loro diritto esclusivo su quel contenuto. Questa filigrana può inoltre essere cliccata anche dagli utenti, che avranno così modo di iscriversi al canale in questione.
- Sfruttare il Content ID di YouTube (utile nel caso di creazioni musicali): un altro strumento offerto da YouTube è il content ID, pensato più nello specifico per tutelare le creazioni musicali. Questo tool permette di esaminare i video caricati sulla piattaforma e di individuare le tracce audio effettivamente protette da copyright. In questo modo, potremo facilmente individuare i video contenenti il nostro audio e, eventualmente, chiedere di farli rimuovere. Tuttavia, non dimentichiamo che ci sono dei precisi requisiti da soddisfare per poter rivendicare i nostri diritti sulla musica pubblicata online: verifichiamo dunque di “essere in regola” con questi prima di rendere pubbliche le nostre creazioni.
- Denunciare la violazione del diritto d’autore, per vie legale o attraverso l’apposito form di Facebook: cosa possiamo fare, invece, se ci siamo accorti che il nostro contenuto è stato ripubblicato, senza il nostro consenso, su un’altra pagina Facebook? In primo luogo, possiamo denunciare la violazione del copyright, sia per vie legali (cosa che ha un costo da non sottovalutare), che compilando l’apposito modulo reperibile alla voce “Proprietà Intellettuale” e/o contattando il centro di assistenza nel pannello di controllo della piattaforma. Tuttavia, questa soluzione è molto laboriosa, in alcuni casi costosa, fornisce tempo prezioso al freebooter, che continua a beneficiare del nostro contenuto e, spesso, si rivela inconclusiva. Ecco perché suggeriamo di “fare da noi” ed mettere in atto la cosiddetta “Regola delle 3C”. Scopriamo insieme di cosa si tratta.
- Applicare la “Regola delle 3C”: l’ultima strategia per mettere i bastoni tra le ruote ai freeboter è quella di “catturare, commentare e contattare” (3C, per l’appunto), rispettivamente il contenuto rubato ed il suo nuovo “proprietario”. Nello specifico, dovremo screenshottare il contenuto rubato, in modo da avere una prova tangibile del furto di proprietà. Commentare il video e la foto in modo pubblico, in modo da informare gli utenti che si tratta di un contenuto rubato e, soprattutto, incollare il link che porta al nostro contenuto originale. Solo a questo punto, potremo contattare il freebooter e chiedergli di rimuovere il contenuto in questione (come spesso suggerito anche dal centro assistenza di Facebook), oppure -in caso di mancata collaborazione- richiederne direttamente la rimozione al centro di assistenza (o procedere per vie legali). Ricordiamo inoltre che soltanto il proprietario del contenuto originale ha il diritto di denunciare il furto quindi, sebbene segnalare pubblicamente il freebooter e chiedere agli altri utenti di fare lo stesso può essere d’aiuto per denunciare pubblicamente il “ladro”, questo non sarà sufficiente a spingere la piattaforma a rimuovere definitivamente il contenuto rubato.
In conclusione, tutelare i nostri contenuti dal freebooting è possibile, ma richiede di giocare in anticipo e di porre in atto tutti gli accorgimenti a nostra disposizione per “firmare” digitalmente il nostro contenuto e dichiarare i nostri diritti d’autore su questo.